Saggio | Della bellezza e della superficie

In questo saggio di Alessandro Stavru, l’estetica giapponese viene presentata come un’estetica della superficie, della pura esteriorità, e, in quanto tale, contrapposta all’estetica occidentale, imperniata invece sul gioco tra interiorità (pathos o ethos) ed esteriorità (eidos o species).

Il tema della superficie attraversa i vari ambiti del mondo giapponese: dall’arte figurativa alla musica, dal tiro con l’arco alla contemplazione della natura, dai bagni termali al culto della pelle candida, dall’effimera architettura in bambù e carta a quella delle case da tè e dei giardini, dalla cultura culinaria del crudo alla devozione per la prima luce del giorno e gli Dei shinto.

Si tratta tuttavia di un’estetica i cui aspetti contraddittori emergono con particolare evidenza nel suo rapporto ambiguo con la civiltà occidentale, che, da un lato, viene assimiliata con acribica precisione, mentre, dall’altro, è svuotata di ogni senso e profondità.

«… [I]l ‘maestro’ non ‘conosce’ attivamente la realtà, ma dispone di una ‘comprensione immobile’ di essa. Il suo modo di guardare a un albero non è volto a coglierne l’‘essenza’, e cioè la ‘profondità’, ma a percepire quel che di esso appare, e dunque a individuarne con estrema precisione ‘ogni singola foglia’… »

Itō JakuchūWhite Plum Blossoms in Moonlight (1755)

Stavru — Della bellezza e della superficie